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Ottobre 2007
Il saragone
Nello Cataudo
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Anche se si va a pescare diverse volte in un anno, le serate memorabili, a cui la mente va anche dopo tanto tempo si possono contare sulle dita di una sola mano. La storia che sto per raccontarvi è una di queste.
Era una giornata di autunno inoltrato di una decina di anni fa. Della squadra che quella sera doveva andare a pescare eravamo rimasti solo in due, perché a causa del tempo minaccioso tutti gli altri si erano tirati indietro. Nonostante tutto, io e l’amico Carmelo, fiduciosi in tutto quello che si era letto sulle pescate a ridosso delle perturbazioni atlantiche in arrivo, decidemmo di partire lo stesso. Arrivammo a Comiso: Lì c’era un forte vento da Sud Ovest, con dei grossi nuvoloni in arrivo. A mare si intravedeva un cielo nero che più nero non si poteva. Stavamo per fare dietro front, ma visto che la meta era ormai vicina, tanto valeva andare sino in fondo. Arrivammo a S. Croce Camerina: lo scenario fu quello del Day After del diluvio universale. Macchine ferme lungo le strade, carreggiate allagate, acqua che scorreva a torrente allagando di tutto e di più. Confidai ciecamente sull’affidabilità della mia macchina da pesca (una vecchia A112), e non esitai a proseguire. Ad un tratto non pioveva più. Tutta quella bufera era già passata ed il vento non era poi così forte come prima. Da lì a poco fummo sulla nostra spiaggia “segreta”, una caletta incastonata in un litorale roccioso, che faceva da avamposto ad una spiaggia di ben maggiori dimensioni. L’idea era quella di lanciare un po’ obliqui a destra verso la spiaggia grande, per centrare il serpentone detritico, e le correnti in uscita da essa. Piazzammo tutte le canne che quella mini spiaggia poteva contenere (non vi si pesca in tre persone) ed aspettammo.
Un occhio ai cimini …. un occhio al cielo. Ma le nuvole che erano passate avevano compiuto un ampio giro in senso antiorario ed ora ce le ritrovavamo di nuovo davanti a noi, al largo, pronte a minacciare pioggia. Lampi e fulmini, e più tempo passava più si avvicinavano. Chi li guardava più i cimini…
Ad un tratto fu presa la decisione giusta: smontare tutto ed andarsene da lì prima di ritrovarsi addosso tutto quel pandemonio. Fra le canne ritirate, quella con la sarda aveva il terminale reciso (un buon 0.40) ed un’altra, la più lontana, con il “verme”, lanciata verso lo spiaggione, non si vedeva più: Andai di fretta in quella direzione e la vidi a terra, e con essa anche il tubo color arancio, dove era infilata. Eppure l’avevo piantato per almeno 30 cm dentro una sabbia fine e compatta. Appena la presi in mano mi accorsi di una presenza vigorosa e potente all’altro lato del filo. Testate profonde seguite da sfuriate alternate verso destra o verso il largo. Lì c’era qualcosa di grosso. Dopo diversi minuti di recupero con la frizione tarata a dovere, con il cuore in gola e gli occhi al cielo, apparve finalmente la sagoma del sarago più grosso che avrei preso sino ad oggi. Non mi ricordo il peso esatto, ma era parecchio più lungo di 30 cm. Mi ricordo benissimo della lunghezza perché la sua coda fuoriusciva per intero dal secchiello dove riponevo il pescato.
Quella serata un solo pesce, ma che soddisfazione !!
Oggi a distanza di parecchi anni ho ancora lo stesso secchiello, e ogni volta che vado a pescare mi chiedo se sarà di nuovo la serata giusta che un preda fatichi ad entrarvi dentro.
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