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Novembre 2007
Aiolata
Nello Cataudo
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Questa storia di per sé può anche non essere avvincente, ma è stato l’episodio che ha stravolto in me l’opinione che avevo della pesca con la canna.
Sin dal 1980, ancora minorenne, mi dilettavo parecchio con la pesca subacquea. Si andava a pesca 1, 2 volte a settimana, con la macchina dell’unico del gruppo che era già munito di patente. L’idea del pescatore con la canna, statico ed immobile, che aspetta che arrivi qualcosa, mi faceva storcere parecchio il naso. Io, da “vero sportivo” quale ero, il pesce dovevo andarmelo a cercare con le proprie gambe e con i propri polmoni. Non eravamo attrezzati di gommone per allontanarci dalle scogliere, ma in compenso posso dire di aver perlustrato in quegli anni parecchi Km di sottocosta della Sicilia Sud orientale.
Nel 1990 si verificò un fatto che mi fece cambiare totalmente opinione. Mi trovavo in vacanza estiva in una località balneare del Ragusano. Il mio compagno di stanza, un mio vecchio compagno di scuola, si era appassionato di pesca con la canna. Sapeva di tutto e di più. Aveva divorato pagine e pagine delle più autorevoli riviste di pesca, e faceva un gran parlare del suo hobby un po’ con tutti i vecchi e nuovi amici conosciuti in vacanza. Un bel giorno, un ragazzo gli propose se era disposto a fare compagnia in barca ad un suo cugino, che quella sera era solo, per una pescata in notturna. Il mio amico accettò. L’indomani lo vedi arrivare con un bel po’ di Mormore. Mi convinsi che era il caso di provare. Mi attrezzarono di filaccione, andammo a fare l’arenicola in spiaggia, e la sera al tramonto via di nuovo verso il largo. Dopo il tramonto i pesci non tardarono ad abboccare. Tutti quei sussulti e quegli strattoni al filo che tenevo saldamente fra indice e pollice mi mandavano l’adrenalina a mille. La mia reazione fu che l’indomani mattina, di buon ora, anche se avevamo fatto tardi, comprai immediatamente la mia prima canna, da barca, munita di una buona lenza 0.28 in bobina. Secondo i dettami del mio accademico amico preparai dei terminali dello 0.18 per insidiare i pesci più degli altri. Purtroppo fu un’infelice scelta in quanto la taglia delle catture era di tutto rispetto, e a me la lenza si ruppe più volte. Non mi veniva bene a riannodare gli ami su terminali più robusti in quanto non appena abbassavo lo sguardo verso il basso mi veniva immediatamente un senso di vomito. Nel frattempo i miei compagni avevano un bel da fare in quanto i pesci erano lì uno dopo l’altro. Persi per questi incidenti complessivamente una buona mezz’ora di tempo, mentre gli altri se la spassavano.
Pescavamo a scarroccio, in tre su una barchetta di 3.60 mt, ogni tanto, quando le mangiate o la pezzatura delle catture diminuivano, l’amico del posto, che sapeva benissimo ciò che faceva, rimetteva in moto e ci spostavamo di nuovo controcorrente verso il largo, sino ad individuare il branco giusto. Ci fu un momento in cui sugli stessi pesci lanciavamo sia noi tre dalla barca che un paio di persone dalla spiaggia (chissà che non era proprio il nostro T.D.S. visto che ci trovavamo in uno dei suoi spot preferiti). Ma di pesce ce n’era e ce n’era per tutti. Poi, dopo l’1 e 30 di notte tutto si calmò, abbassammo gli occhi sul fondo della barca, e cominciammo a contare tutti quei pesci sparsi. Motore acceso e via verso casa. Dopo una mezzora di trasferta in una notte di buio pesto ci ritrovammo di nuovo sull’arenile dal quale eravamo partiti. Da quello sbarco non ero più la persona di prima. Fui contagiato dalla febbre del pesca sportivo con la canna, e questa mi accompagna vivamente ancora oggi. Ogni qualvolta mi accosto, di notte specialmente, ad una battigia, la prima domanda che mi faccio è: chissà che c’è adesso l’ha sotto?
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